lunedì 13 febbraio 2017

Zombi a Venezia

Quella mattina ero arrivato al molo molto presto, la nebbia offuscava la mia vista, mi affidai all'udito per sentire l'avvicinarsi della barca che avevo chiamato con il cellulare.

Il motoscafo si accostò al piccolo molo in cemento e dalla cabina uscì una donna dai capelli corvini, sul suo volto si formò un ghigno che ottenne il risultato opposto a quello che probabilmente avrebbe voluto. Non sorrisi di rimando, piuttosto la osservai notando le borse sotto i suoi occhi chiari e le unghie mangiucchiate segni inequivocabili di sonno arretrato e tanto nervoso represso.
Silenzioso salii sul taxi, "piazza San Marco" dissi con un filo di voce accomodandomi su uno dei divanetti in sky e disinteressandomi della donna che rientrò nella cabina e riaccese il motore.
Quando l'imbarcazione partì l'aria fredda mi sferzò il viso e l'olezzo del petrolio e gas di scarico mi punse le narici. Sospirai e tentai di guardare il panorama, "fortuna oggi non piove" pensai tra me e me ritornando col pensiero alle troppe volte che avevo preso acqua in quella città triste e decadente.
La bruma malgrado l'orario non si era ancora alzata e i palazzi che si affacciavano sul canale sembrava giocassero a nascondino immersi come erano in quella coltre grigiastra. Stranamente non incrociammo nessuna imbarcazione e le piazzette e calle che si affacciavano sul Canal Grande erano stranamente deserte. Fui tentato di chiedere alla donna come mai di quella calma innaturale ma il rumore del motore e la foga con cui il motoscafo affrontava le piccole onde della laguna mi fecero desistere.
Finalmente il viaggio che mi era parso interminabile ebbe fine, vidi la piazza nella sua magnificenza, il duomo e il palazzo del doge la facevano da padrona dando l'impressione di essere guardiani immobili di uno spazio quasi involabile.
La donna mi aiutò a salire sulla banchina, prese le banconote che scivolarono dalla mia mano alla sua e si prodigò in un nuovo sorriso che questa volta parve più convinto.
La salutai con un cenno del capo e mi diressi verso la mia meta già pensando di dover fare a spintoni con i turisti di ogni sorta di lungua e razza che già stavano affollando l'immensa piazza.
Tentando di estraniarmi dal chiacchiericcio di un gruppo di giapponesi e le grida di alcuni ragazzi probabilmente in gita, presi lo smartphone e nervosamente sfogliai le pagine che avevo scritto la sera prima.
La foto di un oggetto metallico dalla forma bizzarra comparve, con indice e pollice della mano destra allargai l'immagine fino a scoprire una dicitura incisa nella vernice che lo ricopriva.
"Anno Domine Zombi" questo avevo letto la sera prima e ora lo stavo leggendo nuovamente, incredulo che qualcuno avesse voluto annunciarmi la venuta di una sciocchezza da film o da racconto di serie Z come andavano di moda in quei giorni.
Camminai lentamente e con l'approssimarsi dell'ingresso del duomo il mio passo fu più volte intralciato da gitanti mal disposti a lasciare il passo ad un estraneo in quella calca.
Poi, d'un tratto avvenne qualcosa di imprevisto, un grido acuto ruppe la monotonia del brusio che ormai era diventato per me un consueto sottofondo ai pensieri che venivano valutati e scartati uno dopo l'altro.
Alzai lo sguardo dal cellulare che istintivamente tornò nella larga tasca della giacca e fermandomi quasi in prossimità dei portici mi guardai attorno.
Uomini, donne e bambini stavano correndo all'impazzata a destra e a manca, urla isteriche accompagnavano i loro passi svelti e si mescolavano a bassi grugniti gutturali provenienti da altri che sembravano intenti a inseguirli.
Passarono pochi istanti, la visione mi divenne chiara e agghiacciante, deglutii e ripensai alla scritta, ma soprattutto ai numeri romani che erano stati tracciati sotto alle lettere oramai sbiadite dal tempo, scossi il capo, sbattei le palpebre pensando o forse sperando che si trattasse solo e soltanto di un incubo, poi mi accorsi di essere osservato.
Un uomo dai vestiti firmati si era fermato esattamente di fronte a me e mi fissava, il suo sguardo era vacuo, gli occhi cerchiati di nero non gli donavano granché ma soprattutto, a colpirmi maggiormente fu la bocca, era torta e mostrava una parte della dentatura gialla e storta.
Non mi resi neppure conto di essermi mosso, iniziai a correre cercando con lo sguardo un vicolo che potesse darmi riparo, calle, calle, calle, poi un ponte e ancora vicoli orlati da acque verdastre e immobili e dietro di me l'ansimare di quell'uomo che non ne voleva sapere di mollare la sua preda, io, e a quanto potevo immaginare i suo lauto pasto.
Attraversato l'ennesimo ponte il fiato venne meno, avevo corso parecchio e non ero affatto abituato a tutta quella ginnastica, guardai davanti a me e poi, finalmente mi decisi a guardarmi alle spalle per capire quanta distanza ci fosse tra me e il mio inseguitore.
Con stupore non vidi nessuno, probabilmente dovevo averlo seminato nello zigzagare in quel dedalo di calle e ponti, o forse, e la visione mi fece rabbrividire, aveva incontrato sulla sua strada una nuova preda, forse più incline a lasciarsi prendere e quindi aveva desistito nel mio inseguimento per gettarsi a capofitto sul nuovo obiettivo.
Progressivamente rallentai la mia corsa, tossii violentemente e rannicchiandomi presi fiato, attorno a me solo il silenzio e il leggero sciabordio che cantilenando saliva dalle sponde del canale. Mi guardai attorno cercando un punto di riferimento, giusto per capire dove fossi finito. Avevo girato Venezia diverse volte ed ero quasi certo di non potermi perdere, fissai i palazzi, i balconi, le targhe sbiadite sulle pareti scrostrate ma nessun indizio mi portò conforto. Mi ero perso.
Ripresi a camminare, questa volta lentamente aguzzando la vista e l'udito, non volevo certo incappare nuovamente in una di quelle creature fameliche ma tantomeno volevo perdermi del tutto.
Così, camminando, quando svoltai nell'ennesimo vicolo, la creatura era ferma immobile, io, ancora sconvolto per ciò che avevo visto nella piazza e per la presenza che mi ero sentito alle spalle fino a poco prima, mi fermai di schianto, il cuore martellava ad un ritmo vertigginoso nel mio petto.
I nostri occhi si fronteggiarono per alcuni interminabili secondi, "tornare sui miei passi o affrontare lo zombi" questo fu l'ultimo dei miei pensieri prima che la sua furia cieca si scaraventasse su di me e mi travolgesse, prima di diventare uno come loro... Foto di Roberto Cobianchi #venezia #zombi

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